Dati utili sulla sanità nel Lazio
Cari amici,
come sapete l’ipotesi alla quale stiamo lavorando da
alcune riunioni è quella di dar vita a un gruppo di lavoro stabile sui temi
della sanità nella nostra regione, di organizzare una pagina sul sito del Gruppo
consiliare (VERDinSALUTE), di preparare una prima iniziativa pubblica che
preceda gli “Stati generali” sulla sanità annunciati da Piero Marrazzo e
calamiti altre partecipazioni, aprendo la strada a nuove iniziative più di
settore (la prevenzione, la salute mentale etc…).
Nelle pagine che
seguono ho provato a riassumere i contenuti delle discussioni fin qui fatte,
quanto è successo in questi mesi e i documenti prodotti e/o procurati da molti
di noi sullo schema di lavoro che insieme abbiamo definito:
Trasparenza
e partecipazione: il Bilancio sociale e di missione
Più Salute, meno Sanità:
il Piano regionale di prevenzione
Più Territorio, meno Ospedale: i Piani di
riassetto e il nuovo PSR
Buone pratiche e idee innovative.
Spero di
non aver dimenticato troppe cose, anche se alcuni punti vanno sicuramente
ampliati…Arturo Castrillo
alcuni dati (desunti dall’annuario statistico 2005 – fonte asp)
A dicembre del 2004 -su una popolazione complessiva di 58.462.375 abitanti- il Lazio, con una superficie territoriale di 17.235 Kmq, aveva 5.269.972 residenti così distribuiti nelle cinque province che lo compongono:
ROMA 3.807.992 (con 121 comuni)
LATINA 519.850 (con 33 comuni)
FROSINONE 490.000 (con 91 comuni)
VITERBO 299.830 (con 60 comuni)
RIETI 153.258 (con 73 comuni)
per un totale di 378 Comuni
Il Servizio sanitario regionale è organizzato in 12 ASL (a cui va aggiunta l’ARES 118) di cui 5 nella città di Roma (RM A-E) 3 nella sua provincia (RM F-H) e 1 per ciascuna delle altre quattro province (RI, VT, FR, LT).
Ogni ASL è poi articolata sul proprio territorio in Distretti sociosanitari attraverso i quali l’Azienda Sanitaria Locale attiva i percorsi assistenziali e i servizi, a partire dai medici di medicina generale che -nel 2004- erano 4.841 (circa 1x1000 abitanti) a cui si aggiungevano 759 pediatri (circa 1x760 bambini).
I Distretti sono strutture orizzontali (tra i servizi sociosanitari) e verticali (tra i servizi territoriali e quelli ospedalieri) e nella nostra regione sono in totale 37: 18 nella provincia di Roma, 5 nelle provincia di Latina, Rieti e Viterbo, 4 in provincia di Frosinone.
la diagnostica
I presidi che nel 2004 hanno erogato l’assistenza specialistica ambulatoriale nel Lazio erano 989 di cui 366 strutture ambulatoriali a gestione pubblica, 601 strutture private e classificate provvisoriamente accreditate (l’83 % concentrate nelle ASL di Roma) 22 strutture ambulatoriali aziendalizzate.
Nel 2004 nelle ASL e nelle strutture aziendalizzate sono state compilate più di 19 milioni di ricette ed erogate oltre 79 milioni di prestazioni, di cui:
62.9% Laboratorio analisi e radioimmunologia (36.8 % della spesa per prestazioni)
20.6% Medicina fisica e riabilitazione (15.1 % della spesa per prestazioni)
3.8% Radiologia diagnostica e Diagnostica per immagini (12.5 % della spesa per prestazioni).
Altre branche il cui “peso” nella spesa per l’assistenza specialistica è particolarmente rilevante sono la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) che assorbe il 9.8 % della spesa totale e la Cardiologia che assorbe il 4.5 % della spesa totale.
la farmaceutica
Secondo l’AIFA (l’Agenzia italiana del farmaco) la spesa farmaceutica nel Lazio a fine 2006 arriverà a 1 miliardo 550 milioni di euro, ben oltre la media nazionale attestata al 13 % per la convenzionata territoriale e al 3% per quella ospedaliera. Peraltro l’Assessore regionale al Bilancio L. Nieri ha ribadito che l’abolizione del ticket sull’acquisto dei farmaci ha provocato un mancato incasso di 50 milioni di euro. Una goccia nel mare.
i ricoveri ospedalieri
Nel 2004 nel Lazio hanno operato 189 Istituti di ricovero e cura di cui:
54 Presidi ospedalieri ASL;
4 Aziende ospedaliere: S. Camillo-Forlanini, S. Giovanni, S. Filippo Neri e S. Andrea;
4 Policlinici universitari: Umberto I°, Tor Vergata, Gemelli e Campus Biomedico;
6 Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico (IRCCS): Spallanzani, IFO, Bambin Gesù, Fondazione Santa Lucia, IDI e INRCA;
8 Istituti non classificati (nelle sole ASL di Roma RM A-E);
33 Case di cura non accreditate;
80 Case di cura accreditate ( il 76.7 % nelle ASL di Roma e provincia RM A-H).
Sempre nel 2004 i posti letto a disposizione dei cittadini laziali per ricoveri ordinari sono stati 26.528 pari a 5.5x1000 abitanti a cui vanno aggiunti 3.338 posti letto in day-hospital (0.6x1000 abitanti).
In base alle schede di dimissione ospedaliera (SDO) nel 2004 ci sono stati 828.567 ricoveri ordinari per un totale di 7.881.119 giornate di degenza (degenza media 9.5 gg.) e 461.143 ricoveri in day-hospital per complessivi 1.720.990 giorni di degenza (degenza media 3.7 gg.). L’82 % dei ricoveri (e delle degenze totali) sono concentrati nelle ASL di Roma e provincia e nelle AO.
Nel 2005, su una popolazione regionale di 5.469.972 residenti, le dimissioni a carico del Servizio sanitario regionale sono state 1.381.617 delle quali 1.276.569 per acuti, con il 61% in regime ordinario, il 39% in DH.
Analizzando la distribuzione per MDC (Major Diagnostic Category) i ricoveri che “pesano” di più sono quelli dovuti a malattie e disturbi del sistema cardiocircolatorio (11.8%), ostemuscolare / connettivo (10.2%) e digerente (8.3%).
In una recente intervista a ”l’Espresso” Umberto Veronesi ha dichiarato che degli oltre mille ospedali del nostro Paese, dove ogni anno si recano dai 15 ai 20 milioni di italiani sia come visitatori che utenti, il 30% è stato costruito prima del ‘900, un altro 30% tra il 1900 ed il 1940 e si stima che –a seconda delle specialistiche- un posto letto costa tra i 1000 e i 1.500 euro al giorno (il 70 % di tale cifra è determinato dal costo del personale).
A fine ottobre, in occasione del confronto tra Giunta regionale e Governo nazionale per concordare il Piano di rientro dal debito, la stampa ha pubblicato molti dati riguardanti la sanità nel Lazio aggiornati al 2006:
su un bilancio regionale di 19 miliardi di euro, la spesa sanitaria è di 9 miliardi l’anno pari al 62 % dell’intero bilancio ma è previsto che salirà a 10.010 milioni di euro nel 2007;
di questa cifra il 53,4 % viene impegnata per i ricoveri e il 46,6 % per la sanità territoriale (la media nazionale è esattamente il rovescio);
il 45 % della spesa in sanità è assorbito dal settore pubblico, il 55 % da quello privato;
a proposito di posti letto accreditati, nel 2006 sono 28.761 di cui 22.941 per acuti (53% pubblici, 33% equiparati, 15% privati) e 5.820 per lungodegenza e riabilitazione (11% pubblici, 17% equiparati, 72% privati).
Siamo a 5.5 posti letto x 1000 abitanti; 4.4 per acuti, 1.1 per lungodegenza e riabilitazione, assicurati da 144 strutture ospedaliere delle quali il 40% pubbliche, il 13% equiparate (Policlinici universitari, IRCCS e Ospedali classificati), il 47% private.
il debito
Il debito complessivo, secondo i dati resi noti dal Presidente della Giunta regionale nel Consiglio straordinario del 16 novembre, ammonta a 9 miliardi 537 milioni di euro anche se 2 miliardi sono di mancato trasferimento da parte dello Stato per il biennio 2004-2005. È il più elevato d’Italia, sia in valore assoluto che in termini pro-capite, con andamento esponenziale.
È composto da 3 miliardi 694 milioni di euro derivanti dai disavanzi (rispetto ai fondi di trasferimento) del 2004-20005, ai quali si aggiungono 3 miliardi 666 milioni di euro verso creditori ( non saldati né transatti) e 2 miliardi 177 milioni di euro derivanti dai fondi statali non trasferiti.
È un debito superiore alla spesa di un anno in sanità e come prima conseguenza ha già provocato l’aumento dell’ addizionale IRPEF (che è passata dallo 0.9 all’1.4 %) e dell’aliquota IRAP (che è passata dal 4.25 al 5.25 %). Sono i livelli massimi -e automatici- conseguenti al pesante deficit della sanità; il totale stimato dal Dpefr in discussione è di 545 milioni di maggiori entrate.
Ultimo problema -ma non certo per importanza- è la quota di debiti non transatti e dunque fuori controllo; È uno stock di debito –non si sa nelle mani di chi- che ai sensi del DL 231/2002 produce a qualcuno interessi di circa il 10% l’anno. Sono questi i dati che hanno provocato il recente abbassamento del rating della Regione Lazio da parte di Standard e Poor’s.
il riassetto della rete ospedaliera
Il primo piano, elaborato dall’Agenzia di Sanità Pubblica della Regione Lazio, prevedeva il taglio di 5.147 posti letto entro il 2009, riportando i parametri della nostra regione allo standard nazionale di 4.5 posti letto ogni 1.000 abitanti (3.5 per acuti e 1.0 per lungodegenza e riabilitazione secondo l’intesa Stato Regioni del 2005).
Prevedeva di eliminare 4.614 posti letto per acuti e 533 per la riabilitazione anche se, già in fase di presentazione, l’Assessore alla Sanità aveva più volte affermato che a suo parere i posti letto da tagliare erano poco più di 3 mila (3.147). Ciò considerando che a Roma ci sono oltre 200 mila abitanti in più (risultano all’anagrafe ma non al censimento), quattro Policlinici universitari, grandi eventi, alta mobilità attiva e un notevole onere formativo nazionale.
Su questo numero è stato infatti elaborato un secondo Piano da parte dell’Asp (v. tabella allegata) da attuare nel trienni 2007-2009. Ma al di là dei numeri, sia la prima che la seconda versione evidenziano l’eccesso di offerta specie in chirurgia generale (37%) e medicina generale (36%) ma non affrontano lo squilibrio che nella nostra regione c’ è tra pubblico e privato che, specie nella riabilitazione e nella lungodegenza, è enorme (circa il 80% è in mano ai privati).
Ovviamente questo non è un nodo tecnico ma politico, ma non è affatto indifferente se e come sarà sciolto e non solo in materia di offerta ospedaliera, perché le stesse considerazioni valgono sia per la diagnostica strumentale che di laboratorio che per la specialistica ambulatoriale.
il piano asp
Il Piano tecnico, elaborato dall’Agenzia di sanità pubblica per il triennio 2007-2009, è un documento “tecnicamente definito e scientificamente orientato al recupero di efficienza e appropriatezza dell’assistenza ospedaliera, rivolto alla razionalizzazione e alla modernizzazione dell’offerta”. Ha come fine la riduzione/riconversione della rete ospedaliera che è uno degli obiettivi posti dal “Patto per il risanamento, lo sviluppo, il riequilibrio e la modernizzazione della sanità nel Lazio” sottoscritto col Governo nazionale e punta a:
ridimensionare i reparti con bassa performance organizzativa;
trasferire in ambulatorio alcune prestazioni ospedaliere;
introdurre le OBI nei P.S. (Osservazione Breve Intensiva);
riconvertire gli ospedali con meno di 100 posti letto in RSA e Hospice che attualmente sono 52 -con 3.181 posti letto- di cui 33 Case di cura accreditate (con il 60% dei posti letto) concentrate nelle RM A, C, E, H;
sopprimere i reparti con 1-2 posti letto (ci sono anche questi!);
realizzare 36 Presidi territoriali di prossimità (PTP) con 10-30 posti letto a gestione distrettuale e non rimborsati a DRG.
Sopra i PTP ci sarebbero –attraverso una riclassificazione – ospedali intermedi, quelli specialistici, quelli di media/alta complessità e infine la rete (secondo il modello Hub and Spoke) di alte specialità per cardiochirurgia, sindrome coronaria acuta, ictus cerebrale acuto, traumi gravi e neurotraumatologia.
A tutto questo si dovrebbero affiancare:
l’ospedale “su cinque giorni” per alcune discipline (Otorino, Odonto, Dermo, Oculistica);
nuovi DEA di II livello (attualmente sono 7, concentrati tutti a Roma);
almeno 5 mila posti residenza in RSA (attualmente sono 82, con 5.359 p.r.);
Dipartimenti oncologici (sono stati 24 mila i nuovi casi nel 2005);
almeno 500 nuovi posti residenza in Hospice, (attualmente sono 11, con 198 p.r.).
il potenziamento dei CAD (attualmente sono 56 in tutto il Lazio);
chi c’è in campo
Sulla sanità del Lazio – oltre all’Assessorato guidato da Augusto Battaglia (Direttore Generale Silvio Natoli) e alla Commissione consiliare presieduta da Franco Dalia – intervengono con diverse funzioni:
Laziosanità, l’Agenzia di Sanità pubblica della Regione il cui Cda è presieduto da Lucio D’Ubaldo (Direttore Generale Claudio Clini);
La Cabina di regia, formata dalla Presidenza e dagli Assessorati Bilancio e Sanità;
Il Cruscotto, affidato a LAIT- Lazio Innovazione Tecnologica;
La Commissione speciale d’indagine sulla riforma del SSR.
l’ eredità
A proposito dell’eredità della Giunta Badaloni, è stato lo stesso Francesco Storace a certificare nell’aprile 2003 all’ allora Ministro dell’Economia che nel Lazio il debito in sanità tra il ‘95 e il ’99 era di 7.400 miliardi di vecchie lire, che diventano circa 20 mila tra il 2000 e il 2005.
E questo nonostante i molti esempi di “finanza creativa” della Giunta di centrodestra; sono tanti, basti per tutti quello della cartolarizzazione degli ospedali, venduti e riaffittati a prezzo di mercato col costo delle manutenzioni in capo alle Aziende sanitarie. Una sorta di danno erariale perseguito per via legislativa, di chi ha venduto i gioielli di famiglia per far cassa e tirare a campare, ma che Eurostat ha classificato come debito!
Sui precari in sanità: fonti sindacali che stanno seguendo il percorso di stabilizzazione affermano che non sarebbero 5 ma 6.000; quelli di “Lazio service” 1.2000 e non 800, altri 1.300 precari si troverebbero nelle società, enti e consorzi che fanno capo alla Regione. Fatta la somma sono 8.500 precari, a cui vanno aggiunti i 540 vincitori di concorso che da due anni aspettano di essere assunti. È un’ altra eredità gravosa del passato, sulla quale qualcuno da anni accumula un fiume di danaro in barba alle retribuzioni previste dai contratti, ai versamenti degli oneri contributivi, all’accantonamento del TFR etc…
Ma la loro stabilizzazione non potrà non essere accompagnata da una moratoria delle nuove esternalizzazioni -per definire le linee di confine tra servizi esternalizzabili e non- e da un incremento dei livelli di produttività e efficienza nelle strutture pubbliche.
La sanità pubblica è una missione (la cura, la formazione, la ricerca...) quella privata una funzione (solo la cura ); ma anche con questa premessa, se nella sanità pubblica non aumenterà la produttività sarà difficile poter trasferire risorse dal privato senza provocare un abbassamento dei livelli di prestazioni ai cittadini.
il rientro
Il Piano di rientro dal debito che la Giunta Marrazzo sta presentando in queste ore al Ministro dell’ Economia prevede –insieme all’ aumento automatico di Irpef e Irap e alla “spalmatura” del debito in n anni- una riduzione dei costi della sanità regionale attraverso un risparmio di 788 milioni di euro nel 2007, di 1.100 milioni nel 2008 e 1.550 milioni nel 2009.
Questi obiettivi sono stati ricavati dal deficit accertato per il 2005 (1.888 milioni di euro) e da quelli previsti per il 2006 (1.200 milioni di euro) e per il 2007 (788 milioni di euro).
L’azzeramento del deficit previsto per il 2007 (788 milioni) si otterrebbe con una riduzione della spesa farmaceutica (-178 milioni), del personale (-197 milioni con il blocco delle assunzioni e del turn over), dei trasferimenti a cliniche e ambulatori convenzionati (-243 milioni), dell’acquisto di beni e servizi (-58 milioni da pulizie, lavanderia, vitto, sorveglianza) e col taglio del 10% dei primari e dei primi 1.500 posti letto per acuti (-100 milioni).
Quest’ ultimo riguarderebbe le ASL di Roma, la RM H ( i Castelli romani ) e la ASL di Latina con -495 p.l. di chirurgia generale, -461 p.l. di ostetricia e ginecologia, -379 p.l. di ortopedia e traumatologia, -170 p.l. di pediatria così ripartiti: -555 p.l. delle ASL, -225 p.l. delle Aziende Ospedaliere, -255 p.l. dei Policlinici universitari, -120 p.l. degli Ospedali classificati, -120 p.l. degli IRCCS pubblici e privati e -225 p.l. delle Case di cura convenzionate.
Prevede anche di abbattere i tempi d’attesa delle prestazioni sanitarie e punta ad aumentare la capacità di erogazione dei servizi da parte delle strutture pubbliche attraverso il pieno utilizzo delle attrezzature e delle risorse. A tal fine ASL e AO entro il 31 gennaio 2007 dovrebbero presentare progetti con aumento dell’orario di apertura al pubblico e definizione dei maggiori costi derivanti.
i primi commenti
Reso noto lunedì 4 dall’Assessore A. Battaglia, il Piano di rientro sarà presentato al Ministro Padoa Schioppa il 6 dicembre, ma è già stato accompagnato dai primi giudizi sia di CGIL-CISL e UIL che di alcune forze politiche della maggioranza alla Pisana (PRC, VERDI e AL) che sostengono:
non basta il riordino della rete ospedaliera ma serve un nuovo Piano sanitario regionale che promuova una riforma radicale del servizio;
il taglio dei primi 1.500 p.l. colpisce per il 70% il pubblico e per il 30% i privati; occorre fare l’esatto rovescio per potenziare la medicina territoriale e abbattere le liste d’attesa;
la sanità pubblica non può continuare a sobbarcarsi (col 45% della spesa) sempre più le attività e le prestazioni più onerose, lasciando ai privati (col 55% della spesa) quelle più “redditizie”;
il taglio dei fondi per il personale renderà impossibile il rispetto del protocollo sottoscritto recentemente dalla Giunta regionale con le organizzazioni sindacali a proposito della stabilizzazione dei precari e degli “esternalizzati” in sanità.
CGIL, CISL e UIL sottolineano infine che, di fronte all’entità della crisi e all’importanza del settore, occorre più dialogo e condivisione sulle scelte e la Giunta regionale deve mostrare “più coraggio, più coerenza e più celerità nell’assumere decisioni”.
la questione politica
È opportuno partire da una premessa: la sanità è probabilmente il più importante banco di prova su cui i cittadini del Lazio, nel 2010, giudicheranno il governo affidata alla guida di Piero Marrazzo. E questo non tanto perché in sanità si spende molto più del 60% dell’intero bilancio regionale, ma perché riguarda un bene primario intorno al quale da troppo tempo nella nostra regione si consumano grandi nefandezze che bruciano risorse e per le quali c’ è da augurarsi che la Magistratura faccia rapida e piena luce dopo le 17 richieste di rinvio a giudizio di questi giorni.
Una sanità “giusta”; fu questo il titolo di quella lunga e articolata parte del programma elettorale dedicata ad un tema centrale per il governo regionale; un programma che si apriva con l’articolo 32 della Costituzione (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività) e i principi ispiratori della Legge 833/78 (Il SSN garantisce la tutela della persona umana e la promozione della salute di tutti i cittadini secondo i principi di universalità, equità e solidarietà, secondo criteri di efficacia, appropriatezza, accessibilità e continuità di assistenza, indipendentemente dalle loro condizioni socioeconomiche).
Diciotto mesi dopo il Presidente della Giunta regionale definisce la sanità nel Lazio una vera e propria emergenza nazionale che lo ha spinto a chiedere al Governo lo “stralcio” dalle altre regioni, a convocare un Consiglio straordinario e annunciare gli “stati generali” per trovare una via d’uscita ad un debito superiore alla spesa di un anno di attività (circa 10 miliardi di euro).
È una voragine pari a circa un terzo della Finanziaria 2007 del Governo Prodi che il centrodestra, in testa Storace e Augello, si sono affannati a spiegare così: il debito l’ha provocato la Giunta Badaloni, il deficit quella di Marrazzo, ciò che resta è dovuto ai mancati trasferimenti del Governo per il biennio 2004-2005. Un tentativo spudorato per coprire responsabilità politiche lunghe cinque anni in un sistema fuori controllo, dove il caos è stato organizzato ad hoc per coprire corruzione e ruberie, intrecci tra politica, affari e poteri forti.
Ma se, come i bene informati sornionamente ripetono, non è finita qui, può bastare un’operazione verità e trasparenza in materia di conti? O, piuttosto, non è più rinviabile una vera e propria rivoluzione copernicana dell’intero sistema sanitario regionale?
il nostro servizio sanitario
Se l’enorme capacità di diagnosi e cura della medicina moderna sta spostando sempre più il ruolo della sanità dalla cura della malattia (che spesso ignorava il malato) alla tutela della salute, il sistema sanitario della nostra regione appare fermo da troppi anni. Gigantesco, poco efficiente, con tutti i numeri dell’assistenza fuori misura rispetto ai parametri nazionali: dalla spesa per la diagnostica a quella farmaceutica, dai bassi investimenti in prevenzione all’ alto numero dei posti letto in convenzione.
A questo si aggiungono scarsi controlli, sprechi di ogni ordine e grado, truffe e ruberie, nomine di primari (alcuni senza neanche un posto letto) convenzioni facili con privati che operano quasi esclusivamente nelle attività ad alta redditività e bassa intensità di investimenti (riabilitazione, lungodegenza, diagnostica) con il rischio, crescente, che in sanità la domanda sia indotta dall’offerta più che dal bisogno.
Se poi l’ospedale è l’immagine della sanità, il gap tra evoluzione tecnologica e involuzione organizzativa è lampante con ambulatori come ai tempi delle mutue, l’inossidabile rito dei primari –troppi, come troppe sono le strutture complesse- a fare “il giro” con il codazzo in genuflessione, la distribuzione delle risorse pesantemente sbilanciata sulla spesa ospedaliera rispetto a quella territoriale e alla prevenzione.
gli annunci
Dopo l’abolizione del ticket, i nuovi ospedali del Golfo di Gaeta, dei Castelli romani e a Talenti, la sanatoria dei precari in sanità; sono questi i più importanti messaggi in positivo lanciati in questi mesi dal governo regionale all’ opinione pubblica mentre esplodeva il debito (con conseguente aumento di IRAP e IRPEF), si moltiplicavano gli scandali nelle ASL e anche i medici al capezzale della sanità del Lazio: la Presidenza, l’Assessorato, la Commissione consiliare, l’ASP, il Cruscotto, la Cabina di regia, la Commissione d’indagine sulla malasanità…
Il taglio dei posti letto potrebbe essere di tre invece dei cinquemila inizialmente previsti dall’ASP; l’Agenzia di sanità pubblica potrebbe diventare un’Autority, si potrebbero riunificate le ASL di Roma con un ruolo nuovo del Campidoglio in materia di politica sanitaria….
Senza entrare nel merito, l’elenco delle esternazioni più a meno felici e delle prese di posizione più o meno opportune potrebbe continuare a lungo ma alla fine, ad un osservatore neppure troppo attento, fanno capire chiaramente che in materia di politica sanitaria nella coalizione che governa la nostra regione:
non c’è una regia unitaria che condivide una strategia e fissa le tappe per raggiungere il ridimensionamento dell’ offerta ospedaliera, la riorganizzazione della medicina territoriale, la razionalizzazione degli elementi strutturali della spesa;
crescono i conflitti tra le forze politiche maggiori per il controllo del settore sanitario in assenza di idee innovative (illuminante la cronaca del Consiglio straordinario…);
alla vicenda Gutemberg, sollevata da un’interrogazione del PRC, si è aggiunta quella, sollevata da un’interrogazione di Ambiente e Lavoro, dell’appalto per la gestione del RECUP;
si confonde, e non è chiaro quanto volutamente, il livello del risanamento finanziario con quello della riforma del sistema che segni una profonda discontinuità con il passato non solo prossimo.
il gap tra le regioni
Intanto cresce il gap tra regioni “virtuose” e quelle sull’orlo della bancarotta finanziaria e dell’implosione del sistema, col paradosso che dove si spende di più si spende anche peggio.
Nelle prime, in linea con l’evoluzione dei sistemi sanitari del resto d’Europa, insieme al pareggio di bilancio:
si ristrutturano le reti ospedaliere per acuti con sale operatorie, emergenza/urgenza, alta tecnologia e personale specializzato H24;
si affiancano alle reti ospedaliere residenze per il monitoraggio dei pazienti post acuzia, day –hospital e dimissioni protette con reparti di degenza organizzati per organo e piani sanitari per patologie;
più della metà delle risorse disponibili finanziano la prevenzione per la tutela della salute e la sanità sul territorio: ambulatori per la diagnosi precoce e le cronicità, l’assistenza domiciliare, le RSA, gli Hospice…;
si contiene la spesa per la diagnostica e la farmaceutica senza far appello alle aziende perché riducano il marketing, ma con i controlli e coinvolgendo i medici di medicina generale nel percorso di cura dei pazienti e non solo nel ruolo di prescrittori, preoccupati più di difendersi dalle azioni di rivalsa dei loro assistiti che del loro stato di salute.
un’occasione da non perdere
La crisi che soffoca la sanità del Lazio può essere l’occasione per uscire finalmente da una criticità endemica, caratterizzata da un forte squilibrio territoriale fra Roma e il resto della regione e tra ospedale e rete per le cure primarie attraverso strutture di medicina territoriale: poliambulatori specialistici, consultori, residenze sanitarie assistenziali, case famiglia, comunità terapeutiche, centri diurni, hospice, servizi per le tossicodipendenze.
Bastino i dati delle RSA, molte senza guardia medica, che nel Lazio offrono la metà dei posti letto che occorrerebbero (specie a Roma…) o degli Hospice, con 198 posti letto in tutta la regione e totalmente assenti in sette delle dodici ASL.
Ce ne vorrebbero almeno il doppio per malati terminali per i quali i CAD (Centri di assistenza domiciliare) sono costretti ad appaltare a privati le cure palliative e le terapie del dolore di pazienti oncologici che l’ASP stima siano oltre 20 mila in più ogni anno.
Del resto in futuro l’immigrazione e l’invecchiamento della popolazione avranno sempre più ripercussioni sui servizi sociosanitari; cresceranno cronicità e disabilità e i cambiamenti qualitativi e quantitativi della domanda, se non governati, porteranno con sé i rischi di trasformare il diritto alla salute in un privilegio di censo senza una rete sanitaria diffusa che abbia come obiettivo la presa in carico dei pazienti e la continuità dell’assistenza.
Non a caso l’Istat segnala che è già finito il baby boom del 2004 e l’Italia è un paese sempre più vecchio: nel 2005 i morti sono stati più dei nati, 1/5 della popolazione ha oltre 65 anni e i grandi vecchi (oltre gli 80) sono il 5% mentre sale a 76.6 anni la speranza di vita degli uomini e a 83.2 quella delle donne.
Per rimettere in equilibrio il sistema non serve un orientamento meccanico al taglio dei costi ma occorrono scelte coraggiose, a cominciare dalla riduzione dei flussi finanziari verso il sistema sanitario privato che drena risorse senza le quali non può esserci attività innovativa nel pubblico, fatta di prevenzione e assistenza protratta.
Ciò è particolarmente vero nel campo dell’assistenza ospedaliera, dove un taglio di posti letto nel pubblico produrrebbe pochi risparmi economici e minor efficienza. Perché almeno il 70 % dei costi è determinato dal personale, non certo licenziabile con il diminuire dei posti letto.
Dopo anni nei quali è mancata una vera analisi dei bisogni e di programmazione dell’uso delle risorse l’offerta –ospedaliera e non- se non governata rischia di essere sempre più indipendente dai bisogni reali, di indurli e conseguentemente di essere in eccesso rispetto alle risorse disponibili, cacciando il sistema in una logica di economia assistita e clientelare nella migliore delle ipotesi indifferente alla crescita della qualità e dell’efficacia.
Peraltro, orientarsi da soli nel mare dell’offerta sanitaria e trovarsi spesso di fronte all’alternativa tra lunghe attese per liste fuori controllo o pagare esami e prestazioni, capovolge la funzione redistributiva della fiscalità generale per finanziare la sanità pubblica e l’abolizione del ticket rischia di apparire un’ operazione più d’immagine che di sostanza.
una grande “opera pubblica”
Nel Lazio abbiamo il più grande debito e i più gravi scandali d’Italia in materia di sanità; in questi anni si è consumato uno dei più seri casi di malaffare che la nostra regione abbia mai visto, con un ladrocinio che si mangiava pezzi del sistema sanitario in un clima torbido fatto di saccheggio delle casse con cliniche fantasma, accreditamenti lampo, fatture pagate più volte, milioni di ricette falsificate, assistenza ai defunti…
Alla luce di tutto ciò, lo scenario che si delinea per i prossimi anni rischia di esser fatto di aumenti della pressione fiscale, tagli di posti letto, un debito spalmato in chissà quanti anni e via elencando…C’è insomma il pericolo di una vera e propria sindrome da debito schiacciante, con una depressione dell’intero sistema che ricadrebbe, sia qualitativamente che quantitativamente, sull’attore più debole: il malato.
Occorre dunque raccogliere la sfida del risanamento, trasformare un grave problema in una grande occasione per una riforma di sistema che ridisegni l’intero pianeta sanità della nostra regione: la più importante opera pubblica dell’ VIII° legislatura. Per fare ciò va definita una vera e propria Carta degli intenti, che ispiri i principi di un Patto per la salute e fissi i contenuti di un nuovo Piano sanitario regionale.
Dovrebbero essere questi i capisaldi intorno ai quali promuovere gli “Stati generali” della sanità del Lazio per andare oltre un sistema solo curativo e riparatore, consapevoli del “paradosso” della medicina (più progredisce , più costa), che “l‘azienda” in sanità non produce profitto ma salute, che quando le risorse sono scarse si rischia di tagliare di più a chi più ha bisogno (anziani e bambini).
Perché il bisogno di salute non può essere un mercato aperto agli appetiti di potenti gruppi economici e finanziari; con i cambiamenti demografici ed epidemiologici occorre riflettere se sia più conveniente espandere gli investimenti in edilizia sanitaria e nuove tecnologie biomedicali o destinare più risorse alla riforma del sistema.
alcune parole chiave
Stati generali, Carta degli intenti, Patto per la salute, Piano sanitario; ma con quali contenuti? A procedere per punti, alcuni potrebbero essere:
Trasparenza e partecipazione: il Bilancio sociale e di missione;
Più salute, meno sanità: il Piano regionale di prevenzione;
Più territorio, meno ospedalità: i Piani di riassetto e il nuovo PRS;
Buone pratiche e idee innovative.
trasparenza e partecipazione
Lo tsunami finanziario e morale sul più grande asset di cui dispone la Regione Lazio (per usare le parole di P. Marrazzo al Consiglio del 16 novembre) non è solo un problema politico e/o giudiziario. Non basta aggredire gli sprechi, attaccare le rendite di posizione, colpire la malagestione perché da troppo tempo il nostro servizio sanitario naviga a vista, gli slanci riformatori segnano il passo, mancano idee forti e un vero monitoraggio delle performance. Peraltro il debito informativo, la frammentazione e il caos che lo avvolge ci fanno rischiare di conoscere sempre meno il sistema.
Appare perciò urgente riunificare responsabilità organizzative e analisi dei bisogni, facoltà di spesa e onere della raccolta delle risorse. Ma è ancora più urgente l’empowerment, cioè la possibilità/capacità dei cittadini e degli utenti dei servizi di prendere decisioni appropriate. Un elemento che gioca un ruolo fondamentale nella tenuta dei sistemi sanitari di molti paesi europei (come Francia e Germania) dove è al centro del dibattito ma che stenta a entrare nel lessico del nostro servizio sanitario, sia regionale che nazionale.
L’empowerment è inteso come obiettivo di potenziamento e condivisione, delega e trasferimento dei poteri, apertura a nuovi mondi, aumento di capacità, sviluppo di potenzialità cui arrivare tramite forme di auto-aiuto che responsabilizzino e valorizzino i contributi e le forme di sostegno sociale che riconoscono il valore della solidarietà e l’importanza delle interazioni ambientali.
Si può fare riferimento all’empowerment anche per le esperienze di rendicontazione sociale finalizzata a rendere conto ai cittadini a agli altri portatori di interessi del grado di raggiungimento degli obiettivi esplicitati preventivamente da un’ASL piuttosto che da un’Azienda ospedaliera.
È questo il Bilancio sociale che va oltre quello economico finanziario e non riguarda solo il rapporto tra la singola Azienda e il proprio contesto di riferimento, ma anche quello con la regione perché è uno strumento di restituzione ai cittadini di quanto essi hanno richiesto al governo regionale attraverso la scelta della rappresentanza.
In un’ottica di trasparenza e restituzione alle comunità locali del valore prodotto dalle Aziende sanitarie, dell’individuazione e la costruzione di un dialogo con i diversi portatori d’interesse, il Bilancio sociale per ogni ASL può essere una risposta ad un’esigenza di informazione e partecipazione dei diversi interlocutori (cittadini, Enti locali, Associazioni etc…) di ciò che l’Azienda è, degli obiettivi che persegue, dei risultati che produce.
Un’altra modalità è quella che la Regione Emilia Romagna ha chiamato il Bilancio di missione promosso a livello centrale secondo criteri di rendicontazione comuni e predefiniti. In una logica di trasparenza che privilegia l’asse di comunicazione AS-Regione il Bilancio di missione è il documento col quale ogni Azienda sanitaria rende conto al governo regionale del grado di attuazione del mandato conferitole e la Regione non è solo uno degli interlocutori dell’AS ma il principale soggetto chiamato a garantire l’attuazione della missione dell’Azienda nel proprio territorio di riferimento.
Introdurre il Bilancio sociale e quello di missione nel nostro servizio sanitario sarebbero il segno di un’attenzione nuova verso il tema della “resa dei conti” ai cittadini e, insieme a una riduzione del potere monocratico dei Direttori Generali, potrebbero dare una risposta al bisogno di trasparenza e partecipazione per un nuovo inizio della sanità nella nostra regione.
più salute meno sanità
Forse non è inutile ricordare che per l’Organizzazione Mondiale della Sanità la salute è l’insieme di benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza della malattia. Essa è un diritto inalienabile di ogni essere vivente e la prevenzione resta l’arma migliore per garantire la conservazione dello stato di salute dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda.
Con la Riforma costituzionale del 2001 il Ministero della Salute -con l’ausilio tecnico scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità- ha solo compiti di indirizzo, mentre le competenze in materia di tutela della salute sono in capo alle Regioni.
Sulla prevenzione il Ministero, con un Piano nazionale 2005-2007, ha proposto gli ambiti d’azione alle Regioni per una politica di prevenzione che, attraverso i comportamenti e gli stili di vita (l’alimentazione, l’alcool, il fumo…) e il miglioramento del contesto ambientale (l’acqua, l’aria, il suolo, il rumore, i rifiuti, l’elettromagnetismo….), fronteggi il vertiginoso aumento delle malattie cronico degenerative e tumorali.
Il Piano nazionale della Prevenzione è stato approvato il 23 marzo 2005 dalla Conferenza Stato Regioni e successivamente il Lazio, con un Piano regionale della prevenzione (anche questo 2005-2007), si è dotato di un programma di interventi che -con il coinvolgimento di ASP, ARPA e ISPESL- riguardano:
le patologie cardiovascolari, con la diffusione della carta del rischio, la prevenzione dell’obesità, delle complicanze del diabete e delle recidive;
lo screening dei tumori;
la prevenzione degli incidenti domestici, stradali e sui luoghi di lavoro;
un piano delle vaccinazioni.
All’ASP viene affidato il compito di monitorare e rendicontare semestralmente l’andamento del Piano organizzato per progetti e la cui piena attuazione e implementazione può dare nel medio/lungo periodo parte delle risposte ai vincoli posti da Padoa Schioppa per la “spalmatura” del debito della sanità nel Lazio, a cominciare da dati certi sul debito pregresso e blocco del deficit.
più territorio meno ospedalità
Sono vincoli che obbligano da un lato al contenimento dei costi, dall’altro a intervenire sulla struttura della spesa, visto che –in attesa del consuntivo ASL e AO 2006- quello del 2005 supera i 10 miliardi di euro, di cui più di 6 sono serviti a comperare servizi (4.4 dai privati) e circa 2.5 a pagare il personale.
Per raggiungere l’obiettivo dichiarato di risparmiare 788 milioni di euro nel 2007 e gettare le basi per la riorganizzazione dell’offerta sanitaria nel Lazio, i Piani di riassetto –della rete ospedaliera, ma anche della diagnostica, della specialistica, dei centri di acquisto- la quantificazione dei minori oneri derivanti, il controllo della spesa farmaceutica e la gestione della spesa complessiva sono tappe fondamentali.
Ma il debito, se pure fossero molti gli n anni su cui poterlo spalmare, non si ripiana senza un intervento sulle tariffe, sia per l’entità del debito, sia perché i risparmi derivanti dalla riorganizzazione dell’offerta andranno investiti sul territorio; l’unica scelta possibile per una politica di prevenzione che nel medio/lungo periodo assicuri la riduzione della domanda complessiva. È questa l’anima di un nuovo Piano sanitario regionale.
L’obiettivo della riduzione della domanda dovrà necessariamente assegnare anche ai medici di medicina generale un ruolo profondamente diverso da quello che si è sempre più configurato in questi anni, quello di medici prescrittori di farmaci, indagini diagnostiche, visite specialistiche, ricoveri ospedalieri.
I MMG sono figure importanti sul territorio, nel quale troppo spesso operano in modo avulso dal contesto, facendo così mancare un elemento prezioso per l’intero servizio: la presa in carico dei pazienti e il loro orientamento nel mare magnum dell’offerta.
Trasparenza e partecipazione, prevenzione, razionalizzazione dell’offerta sulla base dei bisogni reali possono fare da volano ad un nuovo Piano sanitario regionale che, oltre a contribuire al risanamento finanziario, faccia uscire dallo stato comatoso la sanità del Lazio e trasformi un problema in un’opportunità per un modello d’avanguardia.
buone pratiche e idee innovative
C’è un ultimo aspetto del sistema sanitario della nostra regione sul quale non si può non dire; riguarda l’autoreferenzialità e la presunzione che lo porta spesso a snobbare, a volte ignorare, le buone pratiche da ovunque provengano e a essere indifferente, a volte sprezzante, alle idee innovative.
È un sistema più attento alle relazioni che ai risultati, molto sensibile a pennacchi e medaglie poco ai cambiamenti; sarebbe sbagliato generalizzare ma è un limite che va superato, perché coinvolge trasversalmente tutti gli ambiti che intervengono sull’insieme del comparto. Quello politico, ma anche quello tecnico-scientifico dove in troppi puntano a far carriera nel pubblico per fare soldi nel privato!
Lo descrive bene Giuseppe Pullara in un articolo comparso sul “Corriere della sera” di martedì 5 dicembre dal titolo “Il debito e la virtù”. Certo non ci sono soluzioni facili per problemi difficili, ma azzerare il deficit e recuperare un debito di 1.900 euro pro capite può non essere una missione impossibile solo se si volta pagina.
L’ambientalismo è ricco di buone pratiche e idee innovative; quello dell’ Energy manager nelle AS, sul quale è stato recentemente impegnato il Consiglio regionale, è solo uno dei tanti esempi possibili per un miglioramento continuo di qualità che attraversi tutti i comparti del pianeta sanità.